Il mondo contadino

La povertà, la fame, la guerra sono situazioni con le quali molti dei nostri antenati che vivevano sulle nostre montagne si sono trovati a dover convivere. Avere qualche terreno da coltivare e poter contar sull’allevamento di qualche animale era una piccola ricchezza anche a Novalesa, dove da metà Ottocento alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’economia del paese si resse principalmente su queste povere attività.

Il Museo di vita montana raccoglie strumenti di lavoro e attrezzi indispensabili per compiere tutte queste attività.

L’allevamento

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L’allevamento di animali di vario genere era praticato in tutte le famiglie e visibile negli scantinati trasformati in stalle, così come nei sottoscala adibiti a pollai. Si allevavano soprattutto mucche da latte e carne, che a causa dell’inverno rigido trascorrevano l’inverno in stalla. Nella stagione estiva, invece, le mucche venivano condotte festosamente in alpeggi di alta montagna, adornate di campanacci in ottone e collari in cuoio. Il margaro era l’allevatore che si prendeva cura delle bestie in alpeggio in cambio di viveri per l’inverno. Nella stagione autunnale, il suono dei campanacci annunciava che le mucche tornavano a valle dai loro proprietari.

L’agricoltura

L’attività agricola in montagna implica per prima cosa la difficile preparazione del terreno. Muri a secco visibili ancora oggi lungo tutte le pendici attorno al paese rappresentavano il tentativo di strappare alla montagna qualche terreno in più da coltivare. All’inizio di ogni stagione agricola si deve arare il terreno. Nel Museo è visibile una collezione di aratri di varie epoche; c’era il tradizionale aratro simmetrico in legno e quello asimmetrico, che presenta, oltre al vomere che taglia la zolla orizzontalmente, il coltro che la taglia verticalmente, ributtando la terra contro il versoio, che a sua volta la rigira depositandola ad un lato del solco. Questa tipologia di aratro asimmetrico è detta in piemontese “siloira“.

Nell’agricoltura moderna, all’inizio del secolo scorso, si diffusero aratri completamente in ferro. La sala al piano terreno del Museo presenta poi un’esposizione di attrezzi agricoli di vario genere: falci, rastrelli, forche, zappe, ecc. Lo splendore di un’antica trebbia ricorda l’epoca della mietitura del grano, un momento cruciale per la vita dei montanari, perché determinava il successo o meno della stagione agricola: l’annata ricca o povera condizionava inevitabilmente l’atmosfera festosa o meno della fine dei lavori. Il funzionamento era particolare: dopo aver raccolto il grano essiccato al sole lo si espositiva a piccoli mazzi su pietre  (lose) ricoperte di teli bianchi e con una frusta di legno e cuoio si battevano le spighe. Il grano separato così dalla pianta veniva messo nella trebbiatrice che, con il movimento rotatorio di una ventola e di una serie di setacci, separava i chicchi dalla pula. Antenato di questo attrezzo, di concezione che potremmo già definire moderna, è il cosiddetto “piccolo vaglio“: un cesto di vimini a due manici che con un movimento a mano verso l’alto separava la pula, che volava via, dai chicchi. La macinazione del grano veniva poi condotta con un mulino ad acqua: a Novalesa è ancora riconoscibile l’edificio dedicato a questa funzione è costruito accanto alle sponde del torrente Cenischia. La farina ottenuta con un procedimento così faticoso era preziosissima; serviva per allevare gli animali, oltre che per preparare il pane, alimento fondamentale Nell’alimentazione contadina.

La vite e la cantina

IMG_2840Nell’antichità la valle di Susa era nota per la produzione vitivinicola; produzione che oggi si cerca di recuperare impiantando vitigni tipici e autoctoni, importati secoli fa prevalentemente dalla Savoia, che al di qua delle Alpi avevano trovato terreno fertile per la produzione: Avanà, Bequet, Baratuciat, sono solo alcuni dei vitigni di un tempo, oggi sempre più coltivati in valle. A Novalesa la coltivazione della vite non ha trovato un nuovo impulso, a causa anche del clima più rigido oggi di molti decenni, ad esempio, dell’epoca medievale, ma un tempo era piuttosto diffusa, tanto da restare viva in un toponimo: la frazione detta “Campo della Vigna”, proprio dalle terrazze vitate che si affacciavano sul paese.
Il Museo propone numerosi attrezzi dedicati alla cura della del vigneto e alla cantina, a partire dagli strumenti per la potatura. Le viti venivano protette dai parassiti con zolfo e solfato di rame, mentre i tralci più lunghi venivano legati e quelli improduttivi tagliati. All’inizio di ottobre si vendemmiava, seguendo un rituale trasmesso di generazione in generazione, che culmina a con la pigiatura delle uve.

Il bosco

IMG_3407Il bosco era, ed è tutt’ora, un tratto caratteristico del paesaggio della Valle Cenischia e dei dintorni di Novalesa. Nell’antichità la valle era interamente boschiva, ma con il passare del tempo l’aumento della popolazione richiese un incremento della superficie coltivata e porzioni sempre più ampie di terra vennero strappate ai boschi.
Per i lavori nel bosco si adoperavano numerosi attrezzi, molti dei quali esposti nel Museo: seghe, scuri e cunei servivano a tagliare le piante, che poi venivano trascinate a valle sulle slitte oppure servendosi dei cosiddetti “cumonghegliu“, chiodi con anelli che piantati alla base del tronco permettevano di trascinarlo con una corda fino al punto di carico.
Dai tronchi più pregiati si ricavavano assi, segando verticalmente i tronchi con una grande sega; a Novalesa era anche presente una vera e propria segheria, che sfruttava la vicinanza con il torrente Cenischia per attivare i propri macchinari.
Il legno veniva utilizzato per la costruzione delle case, dei recinti degli animali, degli arredi per la casa e dei mezzi di trasporto, oltre che naturalmente per il riscaldamento e per cucinare i cibi nei camini o sulle stufe.