L’artigianato

Il Museo di vita montana presenta tutti i mestieri tipici dei paesi di montagna.

Il fabbro

Il fabbro, figura caratteristica di tutti i paesi di un tempo, non poteva mancare a Novalesa, tappa obbligata per le carovane e i viaggiatori che volevano attraversare il Moncenisio. Oltre al lavoro di ferratura di cavalli e muli, il fabbro provvedeva alla riparazione delle carrozze e dei carri.

Utilizzando magli a testa d’asino, talvolta in legno e azionati idraulicamente, il fabbro produceva nella sua fucina tutti gli utensili della casa e gli strumenti da lavoro.
Il ferro rovente che usciva dalla forgia veniva però anche lavorato ad arte per la costruzione di elementi architettonici e di decoro, come le inferriate, le ringhiere, le cancellate e le serrature, di cui nel Museo è ospitata una piccola esposizione, insieme all’originale insegna di un fabbro del luogo.

Il falegname

In ogni famiglia vi era almeno una persona capace di lavorare il legno, per produrre utensili di uso domestico, come cucchiai, ciotole, mestoli, ma anche per realizzare gli attrezzi agricoli non in metallo, come i rastrelli, i manici per le falci, le slitte per trasportare legna o fieno, e tanti altri oggetti di uso quotidiano.

Di legno erano fatti anche gli arredi della casa: culle, madie, tavoli, sedie, letti portavano il segno della maestria di chi li aveva realizzati. Gli artigiani più abili, infatti, abbellivano le loro creazioni con intarsi e incisioni decorative.

Il carbonaio

Si tratta di un mestiere piuttosto diffuso un tempo sulle nostre montagne.
Per realizzare una carbonaia veniva preparata una piazzola pianeggiante di forma rotonda scavata nel terreno. Al centro, si costruiva un camino per l’accensione, composto da piccoli pezzi di legna sovrapposti l’uno all’altro. Si accumulava poi la legna partendo dai pezzi più lunghi, formando così una semisfera somigliante ad un igloo. Il tutto veniva ricoperto con del materiale erboso e, a sua volta, con della terra umida, in modo da chiudere il tutto in maniera ermetica.
L’accensione si effettuava versando nella bocca del camino delle braci accese e chiudendola subito dopo con una pietra.  Venivano quindi praticati dei fori nella parte superiore della calotta, per permettere all’aria di circolare e di alimentare il fuoco; quando, dal colore del fumo, si riteneva che quella parte fosse cotta, i primi fori venivano chiusi e se ne praticavano altri più in basso, fino a raggiungere la base della carbonaia.
Il periodo di cottura richiedeva una grande attenzione, perciò il carbonaio costruiva sempre una baracca a fianco della carbonaia per non doverla abbandonare neppure di notte e per poter quindi meglio controllare i tempi e i risultati del suo lavoro.
Se tutto procedeva per il meglio e le condizioni del tempo lo permettevano, dopo una decina di giorni la carbonaia finiva di bruciare e si lasciava raffreddare il tutto.