Uscendo dal Museo

L’edificio che ospita il museo si trova a metà della via principale del paese, la via Maestra, quella che un tempo era la Strada Reale.
Guardandosi intorno solo alcuni dettagli ci riportano ai giorni nostri dopo la visita nelle sale: il nucleo centrale dell’abitato di Novalesa ha infatti mantenuto pressoché intatto il fascino di un tempo, con piccoli vicoli che si affacciano sulla via e case in pietra, oggi sempre più spesso recuperate al loro antico aspetto di abitazioni intonacate e colorate con tinte piuttosto vive. Se ci si affaccia nei vicoli, si aprono cortili, archi, balconi e ballatoi usati un tempo per far essiccare le erbe, le castagne, le nocciole e i prodotti del bosco.
Una caratteristica delle vecchie case sono le finestre, solitamente piuttosto piccole, non solo per garantirsi una maggiore protezione dal freddo, ma anche per non dover pagare tasse e tributi troppo salati, che erano commisurati anche alla superficie delle finestre.
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Scendendo dal Museo verso l’inizio del paese, si incontra la Chiesa parrocchiale, dedicata a Santo Stefano: non ci sono date certe sulla sua costruzione, ma nel “Cartario dell’Abbazia di Breme” del 1152 era già citata “in Novalixii cappella S.Stephani“. Nei secoli successivi viene nominata più di frequente la Chiesa di S. Stefano “de burgo”, che serviva con più comodità gli abitanti del borgo centrale, mentre fino ad allora veniva citata più spesso – con il titolo di prepositura – la più lontana S. Maria “ad radices Montis Cenisii”.

Nel 1596 S. Maria venne aggregata al monastero e S. Stefano acquisto dignità di prepositura. A quegli anni risalgono probabilmente l’ampliamento e la trasformazione della chiesa quale ora la vediamo.
Si entra attraverso un grande portale ligneo di pregevole lavoro d’intarsio: tra le decorazioni, in alto, è scolpita dal data “1684”, anno in cui la chiesa fu restaurata e probabilmente ampliata.
La chiesa ospita numerose opere d’arte, piuttosto insolite in un piccolo paese di montagna come Novalesa, ma testimoni del suo passato di centro di transiti e scambi.

Uno dei pezzi più pregiati, e sicuramente più cari ai novalicensi, è l’urna in legno e argento che conserva le reliquie di Sant’Eldrado, compatrono del paese e abate dell’Abbazia nel X secolo. Si tratta di un pregevole pezzo di oreficeria romanica della seconda metà del XII secolo. L’urna, che viene portata in occasione fino all’Abbazia in occasione della festa del Santo, il 13 marzo, conserva effettivamente le ossa di Eldrado, monaco savoiardo noto per i suoi molti miracoli; all’interno dell’urna, aperta nel 1998, sono stati rinvenuti anche due preziosi scrigni ora esposti presso il Museo Diocesano di arte sacra a Susa e altre reliquie.

La figura di Sant’Eldrado ricorre anche nel polittico posto sopra l’altare laterale di destra, che raffigura nell’ordine inferiore al centro la Madonna e San Giuseppe in adorazione del Bambino; a sinistra, appunto, Sant’Eldrado nell’atto di presentare un devoto inginocchiato; a destra, San Giusto. Nell’ordine superiore troviamo invece raffigurata la scena della Risurrezione, con a sinistra S. Pietro e a destra S. Paolo.

Proseguendo nella visita si trovano quattro tele che hanno un duplice interesse: artistico e storico. La prima è la Crocifissione di S.Pietro, ad opera della Scuola del Caravaggio ( la tela originale era stata rubata nel 1974 e solo qualche anno fa è stata recuperata); la seconda, nel presbiterio, é l’Adorazione dei pastori, opera di Francois Lemoine (1688-1737), pittore francese famoso per la decorazione dei soffitti del Salone d’Ercole a Versailles; la terza, sulla parete opposta, è l’Adorazione dei Magi della Scuola di Rubens, ed infine, l’ultima tela è la Deposizione di Cristo dalla croce di Daniele Ricciarelli, conosciuto come Daniele da Volterra (1509-1566).

Tutte queste opere d’arte, così preziose ed insolite in una chiesa di montagna, sono giunte a Novalesa come dono da parte di Napoleone Bonaparte all’abate dell’ospizio del Moncenisio: Napoleone, infatti, nel 1807 venne sorpreso da una tempesta di neve mentre transitava dal colle con il suo seguito e fu salvato dai monaci. Le opere furono portate in un primo tempo all’Abbazia di Novalesa, ma in seguito alla soppressione dei beni ecclesiastici nel 1855 vennero trasferite nella chiesa parrocchiale, dove si possono ammirare ancora oggi.